Il nostro prof. Jeremy Rifkin, economista e sociologo all’assemblea nazionale ANCI: una panoramica su Green Deal, ridefinizione delle responsabilità amministrative e il futuro del pianeta >>> Ripensare le infrastrutture per superare i confini politici: le bioregioni dell’economista Rifkin | La Gazzetta degli Enti Locali – 14 novembre 2025
Alla 42esima Assemblea ANCI è presente anche l’economista e sociologo, tra i più prestigiosi al mondo, Jeremy Rifkin, grande promotore del Green Deal europeo che definisce essere “un’intuizione geniale per l’Europa”. Rifkin passa in rassegna i più grandi paradossi della società contemporanea nell’approccio alla crisi climatica, primo tra tutti la convinzione erronea di trovarci in un pianeta di terra, quando il nostro è ormai comprovato essere un pianeta di acqua ed è l’acqua la chiave per aiutarci a tutelarlo. Servono una nuova chiave di lettura delle infrastrutture e un superamento netto dei confini politici in virtù di un’ottica bioregionale >>> >> GUARDA L’INTERVENTO INTEGRALE DI RIFKIN ALL’ASSEMBLEA ANCI
- Tra storia e fatti: la definizione di Pianeta Acqua
- Abbandonare le vecchie istituzioni per aprirsi alla rivoluzione delle infrastrutture
- Il ruolo dell’Italia nella governance bioregionale

Tra storia e fatti: la definizione di Pianeta Acqua
Rifkin inizia raccontandoci una storia su cui mi soffermo sia per il fascino della sua dialettica sia per la morale: sottile ed efficace. Ci sono due pesci giovani che bighellonano nell’oceano finchè non incontrano un pesce molto anziano, a questo punto ai due pesciolini viene rivolta dal vecchio una domanda banale: “Com’è oggi l’acqua ragazzi?”, i pesciolini non rispondono e continuano a nuotare ignorandolo per poi guardarsi e domandarsi: “ma cosa diavolo è l’acqua?”. Con questa fervida ironia Rifkin sventra il primo grande problema dell’essere umano contemporaneo: la sua inconsapevolezza.
Questo, dice, potrebbe essere l’unico pianeta con vita in sé e noi lo diamo per scontato.
Quindi, non volendo ora fare la figura dei pesciolini che continuano a nuotare nell’ignoranza, qualche dato: in primo luogo è importante rivolgersi al nostro pianeta nella consapevolezza che sia un pianeta d’acqua. Ce lo insegna Rifkin che ci parla di quella foto del 1972, quella foto che cambiò il mondo: uno degli astronauti dell’Apollo 17, atterrato sulla Luna, fa una foto al nostro pianeta. Crederemmo di vedere rigogliose sfumature di verde e invece cattura un pianeta blu. Nel 2021, l’Agenzia spaziale europea introduce il termine Pianeta Acqua e poco più avanti la NASA conferma la definizione. Siamo fatti d’acqua e viviamo in un pianeta d’acqua, un pianeta che stiamo distruggendo.
Abbandonare le vecchie istituzioni per aprirsi alla rivoluzione delle infrastrutture
Negli ultimi due secoli abbiamo lasciato enormi quantità di combustibili fossili nell’atmosfera, questi gas non permettono al calore del sole di uscire dal pianeta scatenando i gravi fenomeni climatici a cui siamo oramai abituati. Ormai, dice Rifkin affranto. E infatti non fa neanche più notizia, e noi, colpiti nel ventre dalle ultime alluvioni, lo sappiamo bene.
Come fare a risolverci?
Cambiando paradigma: non possiamo pensare di controllare l’idrosfera o sperare che lei si adatti a noi, siamo noi che dobbiamo adattarci. L’idrosfera, vera e unica protagonista, sta dirottando le nostre migrazioni e determinando i nostri nuovi ecosistemi.
Noi abbiamo la contorta aspettativa, diagnostica l’economista, di voler risolvere la crisi con gli stessi mezzi che l’hanno creata. Complici gli apparati che abbiamo costruito: le moderne istituzioni, la maniera in cui gli Stati nazionali operano fino a come educhiamo i nostri figli; ci hanno condotto qui, come possono ora le stesse istituzioni, avvalendosi degli stessi strumenti, tirarcene fuori?
La risoluzione sta nel modificarne l’assetto: ripensare l’educazione e ripensare la ricerca scientifica con tecnologie cosiddette «additive», ovvero basate sul sistema della stampa 3D che con pochissimo spreco e pochissimi scarti, producono nuove infrastrutture: da semplici prodotti e oggetti fino a intere case. Cita anche il designer e architetto Mario Cucinella che adottando questo progetto innovativo ha realizzato la prima casa stampata in 3D. Cucinella è riuscito a eludere uno dei grossi problemi generati dai data centers centralizzati: “Sapete quanta acqua serve per creare un bit?” incalza Rifkin “Servono 8 galloni di pura acqua per ogni microchip (più di 30 litri). C’erano 1.3 trilioni di microchip l’anno scorso. Non si può fare”. La soluzione sta arrivando, data centers distribuiti tra le Regioni da condividere. Cucinella, dicevamo, ha eluso questa complicanza: il suo sistema innovativo per costruire edifici a base di argilla utilizzando le nuove tecnologie può essere presentato a un mercato tra venditori e acquirenti del Comune, all’interno di una rete che collega fornitori e utenti e il software utilizzato dalla stampante 3D potrebbe essere condiviso facilmente sul telefonino, senza costi aggiuntivi, a un architetto fin nelle Filippine concedendo a questi di creare quanti più edifici voglia pagando una semplice licenza: “Questa è una rivoluzione delle infrastrutture completamente distribuita che sta emergendo a livello municipale e regionale e non può essere fermata: è più economica, locale, è bioregionale”.
Il ruolo dell’Italia nella governance bioregionale
La partita si può ancora giocare, ma su un terreno diverso e in questo Rifkin crede molto nell’autonomia dei Comuni: infrastrutture energetiche, reti idriche non sono beni statali ma sono nelle mani delle Amministrazioni locali: i Comuni sono e determinano le infrastrutture e devono essere lasciati liberi di dettarsi legge.
Rifkin elogia l’operato dell’Italia, non solo ci ha guidato nel rinascimento, ma ha avuto importantissimi leader che hanno permesso la costruzione di quel che oggi definiamo: Unione Europea; Rifkin cita ammirato Spinelli proclamando più volte che l’Italia ha nuovamente bisogno di uno Spinelli moment (= un momento alla Spinelli).
“Sono convinto che l’Italia possa guidare l’Europa e l’Europa possa guidare il mondo in una
nuova terza rivoluzione industriale delle infrastrutture in cui noi prosperiamo adattandoci all’acqua piuttosto che l’acqua adattandosi a noi”.
L’Italia è elogiata anche nel suo sistema attuale, evidenzia Rifkin, sta lasciando ampio spazio ai Comuni di superare i confini politici e andare oltre, verso un sistema di governance bioregionale; d’altronde alla natura e agli eventi climatici, scherza, non frega niente dei confini politici.
Un altro esempio virtuoso è quello del Blue Deal di Venezia. Il Blue Deal promosso dalla più antica Città acquatica, è un’alleanza (allargata anche alle Regioni) tra le Città dell’Acqua: un sollecito ai territori italiani e all’Unione Europea per incoraggiare nuove tecnologie da adottare per pratiche, programmi e incentivi adatti alle esigenze attuali.
La chiave del nuovo approccio europeo sarà proprio questa: libertà e autogoverno delle politiche circa le infrastrutture interne per un’ottica bioregionale, i Comuni stanno iniziando ad attraversare i confini per condividere ecosistemi.
Fonte >>> lagazzettadeglientilocali.it – 14.11.2025








