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Home Culture

PALAZZINA LAF, intervista a Alessandro Marescotti, presidente Peacelink, alla proiezione del film al Senato della Repubblica

Staff Cetri by Staff Cetri
Febbraio 13, 2024
in Culture, National, Opinion
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PALAZZINA LAF, intervista a Alessandro Marescotti, presidente Peacelink, alla proiezione del film al Senato della Repubblica
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INTERVISTA DI ANGELO CONSOLI AD ALESSANDRO MARESCOTTI SU ILVA E “PALAZZINA LAF”

Alessandro Marescotti, Presidente di Peacelink (https://www.peacelink.it) e attivista ambientale e sociale oltre che professore di Liceo  e dunque educatore in prima linea, Peacelink è ben conosciuta per le sue battaglie ambientali a tutela della salute e dell’ambiente a Taranto, in particolare nei riguardi dell’acciaieria conosciuta come Ex Ilva. Parteciperai alla presentazione del film di Michele Riondino, Palazzina LAF al Senato. Possiamo cominciare questa intervista, con una breve illustrazione di tutte le principali attività di Peacelink non solo in merito all’ex ILVA, ma anche a livello internazionale per la pace, la giustizia e la tutela dell’ambiente? 

Peacelink è una piattaforma italiana che si impegna attivamente per promuovere la pace, la giustizia e la tutela dell’ambiente. Le sue attività non si limitano all’ex ILVA ma spaziano a livello nazionale e internazionale. Attualmente l’obiettivo prioritario, data la guerra in Ucraina e nel Medio Oriente, è la promozione della pace. Peacelink svolge attività di sensibilizzazione per incidere sull’opinione pubblica. Ogni giorno sul sito vi sono pubblicazioni di articoli e rapporti. Siamo contro la guerra. Proseguire a oltranza la carneficina è disumano. Non ci sono carneficine giuste. E poi ci sono le campagne di sensibilizzazione sui diritti umani e i diritti globali contenuti nell’Agenda ONU 2030. Lavoriamo parecchio per la liberazione di Assange.

Recentemente siete stati in audizione al Senato insieme a Legambiente per segnalare la gravità della situazione di Taranto (qui il tuo secondo intervento https://webtv.senato.it/webtv_comm?video_evento=244741 ). In soli 5 minuti hai illustrato come i picchi di benzene siano aumentati nel 2023 più che nei dieci anni precedenti e hai segnalato il paradosso di un aumento dell’inquinamento dell’Ex Ilva nonostante la diminuzione della produzione. Che impressione hai ricavato? Senti di aver trovato ascolto e sensibilità alla problematica?

Non lo so se c’è stato ascolto sufficiente da parte dei senatori. Ma so che questa storia non la riusciranno a risolvere proseguendo a sbagliare come è accaduto dal 2012 a oggi con i provvedimenti salva-ILVA. Faranno bene ad ascoltare con attenzione quello che diciamo perché due più due fa quattro e non cinque. Fino a ora in tanti hanno fatto male i conti e l’azienda che gestisce l’Ilva ha accumulato 3 miliardi e 100 milioni di debiti.

Si parla sempre più insistentemente di “decarbonizzazione” dell’ILVA, di idrogeno per alimentare l’impianto e di transizione “green”. Perché molti sono scettici in merito a questa impostazione? L’ILVA può essere trasformata o il problema va risolto in modo più radicale?

Anche se con la decarbonizzazione l’impatto ambientale fosse zero, anche se gli impianti venissero regalati dall’Unione Europea, anche se le bollette dell’energia venissero magicamente pagate da una fatina buona, accadrebbe qualcosa di sgradevole per i lavoratori: otto su dieci verrebbero espulsi dal processo produttivo a Taranto. Per questo motivo la decarbonizzazione viene declamata ma non la vuole nessuno. L’esempio dell’acciaieria di Port Talbot nel Galles è di una triste chiarezza: produce 3,5 milioni di tonnellate all’ anno con due altoforni e 4 mila operai. La decarbonizzazione farà scendere a 1200 i lavoratori, ossia meno 70 per cento[1]. A Taranto con 8 mila lavoratori sono stati prodotti 3 milioni di tonnellate nel 2023. Se si adotta la decarbonizzazione del Galles il taglio è dell’85%. Forse questi numeri chiariscono cosa è la decarbonizzazione sotto il profilo occupazionale. Per l’idrogeno non se ne parla a Taranto. Ma siamo arrivati troppo tardi: la Cina ha già scavalcato tutti ed è addirittura a rischio di overcapacity in questo settore[2]. E’ partita prima, ha fatto i suoi passi da gigante e non credo che riusciremo a competere. 

Il 28 dicembre il Governo ha varato l’ennesimo decreto Salva Ilva, che sostanzialmente garantisce la continuità dell’attività produttiva anche quando se non vengono risolte le criticità ed emergenze dal punto di vista ambientale. Secondo voi si tratta di un passo indietro caratterizzato fra l’altro da fortissimi dubbi in termini di legittimità e costituzionalità.Voi vi opponete all’amministrazione controllata dell’ILVA, con la motivazione che essa non ha mai risolto i problemi della fabbrica. Puoi sinteticamente illustrare la tua posizione al riguardo e darci una idea di quanti soldi dei contribuenti sono stati regalati all’ILVA, a partire dal primo decreto Salva Ilva ad oggi (anche per capire cosa invece si sarebbe potuto fare con questi soldi in una prospettiva di transizione ecologica come indicato dall’Europa nelle sue strategie Green Deal)?

Il conteggio dei regali fatti è un argomento interessantissimo. Ci vuole un bravo studente che faccia una tesi di laurea su questo. Possiamo però dire che dopo i Riva, nel periodo di commissariamento, l’Ilva non è riuscita più a raggiungere il punto di equilibrio fra costi e ricavi perché occorreva produrre almeno 7 milioni di tonnellate/anno. Per via del suo gigantismo è finita davanti al tribunale fallimentare di Milano con 2 miliardi e 900 milioni di debiti[3]. E adesso rischia di finirci con debiti ancora più elevati: 3 miliardi e 100 milioni[4]. Durante il periodo intermedio di gestione dei Commissari, prima che venisse ceduta a Mittal, inoltre era in uno stato di indebitamento preoccupante, con perdite che arrivavano anche a 100 milioni di euro al mese. I governi hanno potuto fare decreti, ma fare i miracoli è molto più difficile.

Per ultimo sarebbe interessante la tua opinione sul film di Riondino, il cui titolo è dovuto al fatto che per molti anni, chi si poneva troppe domande sui danni dell’ILVA, veniva relegato nella palazzina degli ex Laminatoi A Freddo (da cui il nome),  e li definitivamente neutralizzato e messo in condizione di non nuocere risvegliando cosciente e facendo domande.

Nonostante la violenza psicologica che decine di lavoratori subiscono quasi con quotidiana normalità nella Palazzina LAF, il film riesce a dosare le emozioni contrastanti della rabbia e della pietà, dell’indignazione e del dolore. Le bilancia in un equilibrio sempre instabile, sempre aperto all’imprevedibile. Rappresenta pienamente lo stato d’animo di chi vive a Taranto, in bilico fra chi perde la speranza e chi la ritrova nel dolore. Alla fine i lavoratori rinchiusi nella Palazzina LAF riescono a liberarsi dal sistema di mobbing e a ritrovare la loro dignità. Ma non è un percorso facile, a lieto fine, semplice. E’ un film di cicatrici e di pietre d’inciampo.


[1] Cfr. https://www.peacelink.it/economia/a/49851.html

[2] Cfr. https://hydronews.it/il-mercato-cinese-dellidrogeno-green-e-gia-a-rischio-overcapacity/

[3] cfr. https://www.peacelink.it/ecologia/a/41262.html

[4] Cfr. https://ilmanifesto.it/ex-ilva-la-guerra-di-mittal-e-piena-di-debiti-3-miliardi

Il presidente dell’associazione Peacelink, Alessandro Marescotti (membro anche del Comitato Scientifico del CETRI), ha partecipato con Angelo Consoli alla presentazione del film PALAZZINA LAF al Senato (13 febbraio 2024)

Martedì 13 febbraio presentato al Senato della Repubblica, alla presenza dell’autore, regista e interprete principale, Michele Riondino, il film Palazzina LAF che affronta in un modo che potremmo definire “neorealistico” il tema del deterioramento dei rapporti fra l'”ecomostro” siderurgico e lavoratori e cittadini di Taranto.

Il protagonista principale, Caterino Lamanna, interpretato con toccante realismo da Riondino, arriva alla coscienza del dramma dopo essere passato per la fase della crudele indifferenza e del colpevole negazionismo.
Palazzina Laf prende il nome da un reparto dell’acciaieria ex Ilva (Laminatoio a Freddo) dove venivano reclusi e condannati a stare in attesa, gli operatori di concetto che non accettavano di farsi demansionare a operai. Quegli operatori (fra di essi una magistrale Vanessa Scalera) erano tutti altamente qualificati: ingegneri, geometri, informatici. Appena arrivati i Riva nel 1995, avevano subito cercato di liberarsi di loro sia con il licenziamento che con il demansionamento a operai.
Quello della Palazzina LAF fu il primo caso di mobbing in Italia, un caso giudiziario che ha fatto scuola nella giurisprudenza del lavoro. Tutti i fatti narrati nel film sono frutto di interviste fatte ad ex lavoratori ILVA ed ex confinati e i passaggi finali sono dettagliatamente presi dalle carte processuali che hanno determinato la condanna degli imputati e il risarcimento delle vittime.

Trailer ufficiale >>> https://youtu.be/xFoZSerreFI

Staff Cetri

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